C’era una volta una bellissima donna di nome Penelope che abitava sull’isola di Itaca. La donna attendeva con ansia il ritorno del suo sposo, Ulisse, ma era insidiata dai Proci. Riuscì a tenerli a bada tutti quanti grazie allo stratagemma della tela, ma provate a pensare se fosse già stato inventato il telaio automatico… poche ore e Penelope sarebbe capitolata.

RIVOLUZIONE E INVOLUZIONE INDUSTRIALE

Scherzi a parte, la cosiddetta “prima” rivoluzione industriale nasce proprio con l’invenzione della spoletta volante che velocizza la tessitura nei telai e, ancor più importante, la realizzazione della macchina a vapore. Queste invenzioni e l’applicazione delle macchine a vapore nella neonata era industriale non stuzzicano solamente l’ingegno di molti uomini. Come una chimera, gli echi di queste invenzioni arrivano nelle campagne e molte braccia abbandonano la vanga per andare a lavorare nelle prime fabbriche. L’istruzione, a quei tempi prerogativa dell’aristocrazia e dei ricchi, ha gioco facile sull’ignoranza e l’avidità fa il resto. Alcuni imprenditori non esitano a sfruttare questa mano d’opera e accumulano fortune sul sudore di questi ex contadini giunti nelle città abbagliati da un benessere che proprio tale non è. Il tempo scorre, arriva l’elettricità e anche la classe operaia comincia a organizzarsi per reclamare i propri diritti. Nascono le prime catene di montaggio e i numeri di produzione aumentano. La “seconda” rivoluzione industriale vede imprenditori come Henry Ford che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. Hanno fatto sì la loro fortuna, ma il prodotto che usciva dalle loro fabbriche, col tempo divenne un prodotto di consumo degli stessi operai… nonostante non sia tutto oro ciò che luccica, si potrebbe azzardare una etichettatura di consumismo sostenibile?

Nazioni come gli USA crescono economicamente mentre in Europa imperversa la Grande Guerra e, come ciclicamente avviene nei mercati finanziari, dopo un incremento spesso esponenziale, arriva inevitabilmente la recessione. Era il 24 ottobre 1929, passato alla storia come “il giovedì nero”. La crisi investì ovviamente tutto il mondo, non solo gli USA, ma anche allora (vedi David Malpass in Pandemic Bond: Fake?) ci fu chi non si accorse di niente o fece finta di non accorgersene: certo che trattandosi di banchieri e alti esponenti della finanza qualche dubbio nasce. In Europa c’è grande fermento politico e poi la guerra che come tradizione ha dato forte impulso all’industrializzazione e alla ricerca in tutti i campi. Naturalmente gli sforzi erano incentrati in campo militare per ottenere la vittoria, ma terminata la guerra, soprattutto oltreoceano e grazie anche alla necessità di ricostruire il Vecchio Continente, l’industria riprese a correre. Correre… correre senza voltarsi indietro… guardare avanti e basta. È la cosiddetta “Terza Rivoluzione Industriale”, nata tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. La corsa verso armamenti sempre più sofisticati, il dominio dello spazio, la guerra fredda. L’impoverimento dell’etica, qualora l’etica abbia mai fatto parte della coscienza umana, ha consegnato per esempio la scienza spaziale a un gruppo di nazisti fatti fuoriuscire dalla Germania in macerie e portati negli Stati Uniti. La bandiera a stelle e strisce che “sventola” sulla luna è forse la bandiera che dà il via non alla “terza” rivoluzione industriale, quella che definirei come “prima” involuzione industriale. Quegli scienziati che per Hitler studiavano e progettavano i missili per l’industria bellica nazista, invece di rispondere davanti a una Corte di giustizia, hanno seguito e sviluppato il Progetto Apollo, proprio quello che ha portato l’uomo sulla luna, accolto e osannato da tutto il mondo occidentale. Nonostante l’ingerenza da parte degli USA nelle politiche degli Stati europei del dopoguerra, cosa ormai appurata, alcuni intellettuali che considererei illuminati, soprattutto in Italia e in Francia, cercavano di far aprire gli occhi a chi si limitava a osservare la superficie della società del boom economico. Seppure questi personaggi si prodigassero per perseguire obiettivi di uguaglianza tra le diverse classi sociali attraverso un percorso pacifico, contemporaneamente si aggregavano frange di giovani che, non è ancora chiaro se autonomamente o agevolati, pensavano di raggiungere quegli stessi obiettivi attraverso la lotta armata, ma questo è un altro argomento di cui tratto ampiamente nel romanzo Eroi silenti. Ma torniamo a quella che io definisco “prima” involuzione industriale. Provando a semplificare le cose per renderle comprensibili anche a chi, come me, crede che complicare una spiegazione serva volutamente a renderla incomprensibile, possiamo dire che l’esempio della catena di montaggio applicata da Henry Ford (che non reputo assolutamente un santo) ha permesso di costruire, sempre per esempio, dieci vetture in un giorno con venti operai che si occupavano ognuno di assemblare una specifica parte del veicolo. Prima di questo metodo, perché il mezzo fosse finito, utilizzando cinque uomini, si impiegavano, è sempre un esempio, quattro giorni. Provando a fare due conti, per produrre dieci vetture erano necessari 40 giorni con cinque uomini, grazie alla catena di montaggio, in quaranta giorni e con venti uomini si potevano produrre quattrocento vetture. Inizialmente vergine, il mercato assorbiva l’incremento produttivo e col tempo, come già detto, anche i venti operai giunsero a permettersi di acquistare un’auto, ma, sempre come già detto, non è tutto oro quel che luccica e l’avidità ha fatto il resto. Le lotte sindacali in America erano osteggiate dagli industriali che non si facevano tanti scrupoli a chiedere anche l’aiuto della mafia. Ciò manteneva bassi i salari togliendo quindi potenziali acquirenti dei prodotti che si accumulavano nei magazzini fino poi ad arrivare al 1929… complice come sempre anche la speculazione e ciò che adesso si chiama insider trading (i banchieri non erano e non sono ignoranti nel loro campo). In Europa la situazione non era migliore. A quattro anni dalla fine della Grande Guerra l’Italia abdicò nelle mani di Mussolini e i tentativi di chi difendeva i diritti dei lavoratori sulla scia della Rivoluzione d’Ottobre, furono repressi nel sangue e chi ne usciva vivo era bollato come delinquente e finiva in galera… se andava bene. Ma la situazione non era migliore in Germania, in Francia, in Gran Bretagna o in Spagna. Ogni nazione aveva i suoi problemi e i governi cercavano di mantenere la supremazia su queste masse che cercavano di alzare la testa. Per arrivare agli anni ’70, a mio parere periodo d’inizio della “seconda” involuzione industriale, era necessario conoscere, anche se a grandi linee, il percorso storico. L’avvento dell’informatica ha dapprima rivoluzionato l’impostazione della catena di montaggio implementata da Ford e da tutte le industrie manifatturiere per poi invadere progressivamente anche il mondo dell’agricoltura, dei servizi e, incredibilmente, anche dell’arte. Come per tutte le scoperte e le invenzioni, non sono esse stesse le cause del loro utilizzo errato. Neanche chi ha studiato i processi o i progetti è necessariamente diretto responsabile dell’utilizzo di quella scoperta o invenzione. Chi è perciò il responsabile? La società, noi. Le lotte sindacali nel mondo occidentale di quegli anni rivendicavano la riduzione delle ore di lavoro a parità di retribuzione. Detta così potrebbe sembrare una pretesa assurda e senza fondamento, ma proviamo ad analizzare a fondo cosa si intendeva. Ritornando all’esempio di Ford, l’informatica e la robotica non hanno aiutato l’uomo ad alleviare la fatica (soprattutto psicologica) della catena di montaggio, lo hanno sostituito, quindi non c’è più bisogno dei venti uomini. Le macchine e il loro cervello elettronico hanno solo bisogno di alimentazione elettrica, non si stancano, non si ammalano, ma soprattutto non pensano, non ragionano e non protestano. Un industriale filantropico e previdente si libera di quindici uomini e ne tiene cinque a tempo pieno per controllare le macchine. I robot possono lavorare 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, quindi i cinque uomini lavoreranno su turni. Facendo finta che il turno alla Ford dei primi del ‘900 fosse di 8 ore, in un giorno si possono triplicare i turni di produzione e in 24 ore le auto prodotte sarebbero diventate trenta, ma gli operai impiegati erano scesi a cinque. Rifacendosi all’esempio descritto qualche paragrafo fa, in 40 giorni le auto sfornate sarebbero diventate 1200, ma gli operai restavano 5. Estendendo questo processo a tutte le industrie manifatturiere, la disoccupazione aumenta in modo esponenziale come i prodotti che escono dalle fabbriche: auto, frigoriferi, televisori, lavatrici, ecc. ecc. La qualità della vita di tutti non è un argomento ben visto in un mondo dove il profitto deve essere l’obiettivo primario. Chi non era investito dal problema disoccupazione guardava dall’alto in basso chi chiedeva il rientro in fabbrica e, forte del fatto che il suo lavoro non poteva essere sostituito da una macchina, si sentiva intoccabile. L’informatica invece penetrava inesorabilmente in ogni settore, amministrativo, dei servizi… dovunque. Se prima dell’avvento dei computer occorreva per esempio una settimana per avere una carta d’identità e magari diverse persone per verificare la correttezza dei dati, per la compilazione del documento e altro, talvolta esagerando sul numero di queste figure, con un computer il documento è disponibile in tempo reale, al massimo è necessario prendere un appuntamento all’ufficio
anagrafe del comune. Stessa cosa accade per le lavanderie, per i trasporti… oramai tutte le metropolitane di nuova generazione non hanno necessità del “conduttore”.
Personalmente è da diversi anni che mi guardo attorno e vedo sempre più un mondo che sta implodendo su se stesso. Produciamo tanto con pochissime persone, ma in fondo a cosa ci serve avere una metropolitana che viaggia autonomamente e gestita da un programma se poi chi la dovrebbe utilizzare non ha necessità di farlo perché non ha un posto di lavoro da raggiungere… oppure colui che si sposta per svago… non si può svagare perché ha poco denaro a disposizione? Produciamo beni materiali in quantità straordinarie, ma se non possono essere acquistati, cosa ne sarà di questi prodotti? Una panacea all’ineluttabile declino di questa economia è dato dalla globalizzazione: allarghiamo i mercati coinvolgendo tutto il mondo. Si rinvierà il momento della resa dei conti, ma allo stesso tempo aumenterà drasticamente il potere detonante di questa bomba. La storia ci ha insegnato che anche le civiltà più avanzate, egizi, greci, romani, seppur dopo molti anni sono crollati sotto il loro stesso appagamento dell’essere e del potere. Un appagamento che ha indebolito gli anticorpi verso popoli stranieri che poi hanno avuto la meglio perché spinti da mire espansionistiche e di miglioramento della loro esistenza. Il problema ora nasce proprio da questa parola: globalizzazione. Se la civiltà avanzata non ha un antagonista perché tutti ormai sono in un modo o nell’altro parte di questa civiltà, cosa accadrà nel momento del collasso? Come si dice in questi casi: ai posteri l’ardua sentenza, ma chi saranno questi posteri?

©Francesco Curreri 12/12/2022

Immagine titolo by Freepik

Scritto: Francesco Curreri

Verba volant, scripta manent I libri trasmettono il sapere, il sapere è la consapevolezza dell’essere.

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